Il teatro, o della solitudine.
Il teatro che si nutre di silenzio nella società del rumore. Il teatro, che vive del ritmo lento dei gesti e dei respiri, della magica sospensione di uno spazio e di un tempo non più quotidiani, nel mondo degli orologi impazziti e della fretta mangiatrice dei giorni. Il teatro, che richiede l‘’indugiare dell’occhio e l’aprirsi della percezione perché davvero qualcosa sia visto, nell’era degli sguardi distratti e della fuga veloce delle immagini.
Un’attrice al leggio, sulla scena deserta, a varcare l’infinito silenzio con la sola risorsa della voce. Come sopravvissuta a mille tempeste, agli incendi di tutte le biblioteche alla morte di Ilse e allo sbando della Compagnia della Contessa. “Quello che non si può rappresentare lo si legge”. È decisa a raccontare della Madre e del Figlio, la favola nuova del Poeta affidata ormai solo alla memoria, scampata ai naufragi delle parole consumate e all‘’apocalisse dei libri, salvata come ultimo messaggio di speranza.
Perché la vita del teatro, il suo sottrarsi alle leggi dell’industria culturale e alle logiche del consumo, è nel viaggio verso il profondo, nel ritrovare le radici inseguendo le tracce dell’origine, nella nudità e verità della voce che narra la sua storia segreta di vibrazioni, di echi, di foreste sonore attraversate. La voce rimasta unico strumento, ultima carta da giocare, che evoca la musica per farne la compagna inattesa del cammino.

La parola che si fa corporeità di voce e la musica che avvolge, costruisce, indica la strada, nel corrispondersi sottile delle scansioni tematiche e dei quadri sonori.
E alla fine la storia della voce e della musica è ancora la storia del teatro, o della metamorfosi.
(ROSANNA ANSANI, La favola del figlio cambiato. Concerto per voce e musica,                                           Note sull’allestimento)